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La Storia - Il Metodo - Il Terapeuta

La Storia
Il Metodo
Il Terapeuta

La storia della psicoterapia dinamica breve è strettamente interrelata a quella della psicoanalisi. E’ noto che i primi trattamenti di Freud sono stati molto brevi e che solo in seguito la durata delle cure psicoanalitiche è aumentata fino ai livelli attuali.In Studi sull’isteria (1895), infatti, Freud descrive essenzialmente dei trattamenti di breve durata, non superiori a pochi mesi. Solo a partire dal noto caso dell’uomo dei lupi (1914) vengono descritti dei trattamenti di lunga durata, che poi divennero la prassi della terapia psicoanalitica.

Fu tuttavia negli anni successivi che venne maggiormente posto il problema della tecnica per interventi a breve termine. Già nel 1920, alcuni dei collaboratori di Freud, Ranke Ferenczi, esaminarono la possibilità di accorciare la durata del trattamento analitico. Questi autori furono, di fatto, i precursori di un vasto movimento che porterà alle psicoterapie dinamiche brevi.

Successivamente, negli anni 40 Alexander mise in discussione il fatto che esistesse una proporzionalità fra la durata del lavoro terapeutico e la profondità e persistenza dei risultati terapeutici, enfatizzando l’importanza della “relazione terapeutica” come elemento di cambiamento. In particolare venne messa in risalto l’esperienza correttiva attuale che modifica l’effetto di un’antica esperienza. Da Alexander in poi, viene data una importanza maggiore al ruolo attivo del terapeuta, con lo scopo di provocare un’esperienza emotiva correttiva destinata a modificare i “traumi” passati, mediante la possibilità di riviverli in un nuovo clima psicologico. Un intervento più attivo da parte dello psicoterapeuta permette, secondo questo autore, una riduzione del tempo della psicoterapia.

Gli anni della seconda guerra mondiale e alcune situazioni di emergenza negli USA, resero importante la messa a punto di alcuni interventi psicoterapeutici di emergenza.

Negli anni 50 il gruppo della Tavistock (Balint, Malan, Mann e Goldmann) e Davanloo negli anni 60, avviarono studi sistematici sulle psicoterapie a tempo determinato.
Le conclusioni a cui giunsero queste ricerche, relativamente indipendenti fra loro, furono straordinariamente simili:

1) I pazienti sofferenti da lungo tempo di disturbi nevrotici e del carattere, potevano essere trattati con una terapia ad orientamento dinamico in un tempo molto più breve di quanto si riteneva in precedenza.

2) I principi fondamentali della terapia psicoanalitica cioè l’interpretazione del transfert e delle resistenze, potevano essere applicati alla terapia a tempo determinato

3) I risultati di questa forma di trattamento potevano produrre modificazioni durature nella struttura del carattere.

Grazie a questi studi furono perfezionate tecniche di psicoterapia dinamica breve, che si integrano con gli interventi di psicoterapia analitica a lunga durata.
Negli ultimi anni, alcuni autori come Sifneos (1972) hanno utilizzato una tecnica di psicoterapia breve in cui la caratteristica principale era la rilevanza data alla selezione dei pazienti e all’uso di una tecnica di conduzione specializzata. Per quanto riguarda i pazienti l’autore scelse quei pazienti che pur presentando disturbi nevrotici, manifestano una notevole forza dell’Io: attitudine al lavoro psicologico, capacità di insight, aspettative realistiche verso la terapia ecc. Inoltre i problemi affrontati erano per lo più problemi focali.

Mann (1973) presenta un metodo caratterizzato da 2 particolari caratteristiche:

  1. a) un numero rigido di sedute (12 a frequenza settimanale);
  2. b) questo tempo limitato viene usato per capire il processo e l’evoluzione della terapia nel suo complesso.

Inoltre viene allargato lo spettro dei pazienti accessibili al trattamento.
Negli anni 50 il gruppo della Tavistock adottò una maggiore flessibilità nelle procedure di selezione dei pazienti. Infatti gli autori scoprirono che si potevano curare anche quei pazienti, che mostravano marcate deficienze nella forza dell’Io, oltre che di altri parametri considerati essenziali per la terapia a tempo determinato.
Un altro grande gruppo di terapie dinamiche brevi (in questo caso detta radicale o intensiva o accelerata) è quello dei modelli basati sull’accelerazione del processo terapeutico. L’obiettivo è quello di affrontare e risolvere tutti gli aspetti significativi della patologia del paziente, ma in modo più rapido degli approcci a lungo termine.
Si tratta di modelli più potenti dei precedenti, e che si ripropongono di trattare una popolazione sostanzialmente sovrapponibile a quella adatta ad un trattamento psicoanalitico lungo; fanno quasi tutti riferimento alle pionieristiche scoperte di Habbib Davanloo (Psicoterapia dinamica a breve termine, 1980; Il terapeuta instancabile, 1990). Il metodo, conosciuto come IS-TDP (Intensive Short-Term Dynamic Psychotherapy = psicoterapia dinamica breve intensiva), ha profondamente modificato il modo di fare e di pensare la terapia dinamica breve. David Malan, a partire dagli anni 80, ha messo a disposizione di Davanloo il proprio enorme bagaglio culturale e scientifico sviluppato in decenni di ricerca e insegnamento, rendendo più comprensibili i presupposti tecnico-teorici dell’IS-TDP. La fondamentale innovazione di Davanloo consiste nell’avere sviluppato un metodo chiaro, rapido ed efficace di superamento delle resistenze. Un metodo così notevole da risultare quasi incredibile per chi vi si avvicina per la prima volta.

Obiettivo principale della psicoterapia secondo Davanloo è quello di mettere il paziente nella condizione di sperimentare i propri sentimenti autentici il più rapidamente possibile e al massimo grado di intensità tollerabile. I sentimenti coinvolti nei conflitti intrapsichici del paziente sono spesso inconsci e vengono fatti emergere lavorando attivamente sulla rimozione delle difese, modulando l’ansia e ponendo una costante attenzione agli aspetti transferali. Il risultato è una liberazione di ricordi, immagini, sogni, emozioni precedentemente sepolti nell’inconscio. Compito del terapeuta, una volta sbloccato l’inconscio, è quello di collegare il materiale dinamicamente significativo emerso nel transfert ai conflitti relativi alle figure significative del presente e del passato del paziente.
Davanloo è solito svolgere una o due sedute di terapia di prova (Trial Therapy) ognuna delle quali può durare fino a 3 ore. Obiettivo del terapeuta è arrivare ad un unlocking dell’inconscio durante la prima seduta di terapia di prova, ovvero ad uno sblocco emotivo che permetta a paziente e terapeuta di analizzare le forze dinamiche, fino a quel momento parzialmente o totalmente inconscie, coinvolte nel conflitto.

La tecnica è estremamente efficace e potente e risente di un solo grave limite: risulta molto difficile da insegnare ad altri psicoterapeuti. Ciò è probabilmente dovuto alla durezza che sembra trasparire dalla visione delle sedute videoregistrate di Davanloo. Per molti terapeuti, caratterialmente restii ad essere così attivi e a mostrare poco calore, il training didattico finisce per tradursi in atteggiamenti che scimmiottano quelli di Davanloo piuttosto che coglierne il significato profondo. In questo modo se ne snaturano gli obiettivi confondendo il mezzo con il fine.

L’approccio di Davanloo risente a volte di un linguaggio duro, con echi militareschi. Vi è poco spazio per le qualità che si tendono ad identificare come tendenzialmente femminili.

Davanloo non ama per altro favorire l’attitudine degli allievi a sperimentare nuove e più personali strade.

Diversi ex-allievi di Davanloo, oggi ricercatori e docenti di prestigiose università e centri di ricerca nel mondo, hanno sviluppato modelli di psicoterapia che, traendo ricchi spunti dal modello originario, se ne distaccano per l’enfasi posta sulla relazione terapeuta–paziente. Sono modelli che, con diverse gradazioni, pongono l’accento sulla possibilità di intervenire sulla resistenza in modo efficace ma mantenendo un atteggiamento caldo, empatico, accogliente. Un atteggiamento che tenga conto della personalità del terapeuta e della sua attitudine ad utilizzare tecniche sfidanti piuttosto che accoglienti.

Probabilmente non è un caso che fra quest’ultima generazione di psicoterapeuti dinamici brevi radicali vi siano molte donne. Vale la pena in conclusione ricordare i nomi di alcune di loro per chi fosse interessato ad approfondire: Patricia Coughlin Delle Selva (la più vicina al modello originario), Diana Fosha (sicuramente la più attenta agli aspetti affettivi ed empatici), Leigh Mc Cullough Vaillant (ricercatrice rigorosa e appassionata che nel proprio modello ha integrato conoscenze provenienti dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale e da altre terapie) e Josette Ten Have-De Labije (che dirige in Olanda la Dutch Association for Short-Term Dynamic Psychotherapy).(Leone Baruh)

Dal punto di vista metodologico, pur differenziandosi in alcuni aspetti, i modelli di terapia dinamica breve hanno in comune i seguenti elementi:

1) Selezione dei pazienti. La capacità del paziente ad impegnarsi nella psicoterapia a tempo determinato è valutata prendendo in considerazione le caratteristiche dell’organizzazione della personalità, ritenute rilevanti per il lavoro richiesto dal trattamento. In tal senso la psicopatologia del paziente diventa di secondaria importanza rispetto alla possibilità di dimostrare di avere il potenziale, perché s’instauri un rapporto di collaborazione con il terapeuta.
2) La tecnica “attiva”.
3) La definizione e ricerca di una problematica centrale o focus dinamico. Cioè la formulazione di un’area d’intervento, definita in modo da risultare specifica e significativa sia per il terapeuta sia per il paziente.
4) L’analisi del transfert. La manifestazione dei conflitti emozionali del paziente nell’ambito della relazione terapeutica viene considerata il fine più importante del lavoro d’interpretazione.
5) Il limite di tempo prestabilito. Anche se sono abbastanza flessibili, i limiti di tempo vengono fissati all’inizio del trattamento e tutte le questioni riguardanti la conclusione vengono affrontate continuamente nel corso del trattamento.

Lo Psicoterapeuta che uscirà da questa Scuola, avrà una visione degli approcci alle problematiche psicologiche completa ed esauriente sulla base della prassi psicodinamica. Avrà avuto una formazione dettagliata ed articolata sulle discipline che maggiormente possono forgiare la sua strumentazione analitica, interpretativa ed applicativa. Attraverso un incessante lavoro di esercitazioni e simulate, con l’aiuto di esperti e qualificati professionisti del settore, opererà sulla migliore qualità della sua futura relazione con il paziente. Pur nel rispetto delle applicazioni delle disposizioni ministeriali per talune materie, saranno inoltre trattati alcuni argomenti di completezza per una più attuale alleanza analista/paziente, per sviluppare le capacità indispensabili per essere competenti in psicoterapia.

Ecco tre esempi illustrativi di ciò che intendiamo raggiungere, tratti dalla letteratura di riferimento (da Bienenfeld et alt.,2000):

– confini: la capacità di

1)stabilire e rispettare una determinata cornice del trattamento (per esempio definire un programma ed attenersi alle sue tempistiche, alle sue modalità di interazione con le istituzioni e relazioni esterne);
2)istituire e mantenere un rapporto di tipo professionale;
3)proteggere la privacy del paziente;
4)accordarsi in modo appropriato con il paziente in merito al pagamento

– alleanza terapeutica: l’abilità di

1)instaurare un rapporto ed un’alleanza terapeutica con il paziente
2)permettere al paziente di partecipare attivamente al trattamento
3)riconoscere e rimediare alle difficoltà che possono sorgere nell’alleanza
4)stabilire il focus della cura

– tecniche di intervento: la competenza nel

1)mantenere il focus del trattamento
2)analizzare un’affermazione, un comportamento o una reazione emotiva del paziente e dare una valutazione della sua risposta
3)riconoscere il momento giusto in cui terminare il trattamento e saper gestire tale fase.

O ancora,secondo un altro elenco (Beitman e Yue,1999) che prevede:

– interventi verbali: la capacità di utilizzare una vasta gamma di interventi verbali, che includono quelli con cui fornire speranza,rassicurazione,informazioni e supporto,riflessione,interpretazioni e confronto;mantenere il paziente nel focus; promuovere l’identificazione da parte del soggetto dei propri sentimenti, pensieri e modalità comportamentali ricorrenti;incoraggiare e rafforzare il cambiamento;

– sistemi di identificazione: l’abilità di usare il ragionamento induttivo per generalizzare, partendo da piccole porzioni di informazione fino ad arrivare alla definizione di ampi modelli comportamentali relativi ai sentimenti ed ai pensieri del paziente, che sia quest’ultimo sia il terapeuta riconoscono bisognosi di cambiamento, e che una volta modificati conducano al risultato desiderato;

– strategie di cambiamento: la competenza nel

1)riconoscere i tre stadi del cambiamento(scartare i modelli disfunzionali,dare inizio a quelli funzionali,mantenerli);
2)identificare i tre ordini di cambiamento (aiutare il paziente a fare qualcosa di diverso, aiutarlo a modificare la sua modalità tipica in un modo che porti a nuove situazioni ed insegnargli a cambiare le proprie modalità senza l’aiuto del terapeuta);
3)identificare i cinque ambiti del funzionamento del paziente (emotivo, cognitivo, comportamentale, interpersonale e sistemico)
4)fare uso di un’ampia gamma di tecniche, in riferimento ad ognuno di questi ambiti, per aiutare il soggetto a conseguire il cambiamento.

Insomma, l’iscritto a fine Scuola avrà impostato il suo saper essere psicoterapeuta sull’apertura mentale, sulla pazienza collaborativa, sul lavoro su se stesso e sulle proprie capacità espressive e comunicative, ma, soprattutto, sul rispetto e sulla devozione all’altrui sofferenza, punto fondante di qualunque professione che voglia definirsi terapeutica.